Ammissibile il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore
Ammissibile il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14310 del 9 luglio 2015 conferma la legittimità del licenziamento per scarso rendimento.
Il licenziamento infatti è giustificato dalla mancanza dell’esatta esecuzione della prestazione, obbligo derivante dal contratto di lavoro in capo al lavoratore.
Infatti la prestazione lavorativa deve essere eseguita con diligenza e professionalità, nonostante non vi sia un obbligo di risultato derivante dal contratto di lavoro subordinato a differenza del contratto di lavoro autonomo.
Infatti ai sensi del 2104 c.c. il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e dall’interesse dell’impresa e osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. In altri termini l’obbligo di diligenza in capo al lavoratore garantisce al datore di lavoro di conseguire un’utile prestazione.
Nel caso di specie il lavoratore si è discostato notevolmente dai parametri degli altri colleghi, in quanto ha concluso un numero di ordini sensibilmente inferiore a quello dei colleghi nel periodo oggetto di interesse, pertanto i giudici di merito hanno ravvisato la sproporzione tra la sua attività lavorativa e quella dei suoi colleghi. Infine l’accertata insoddisfacente produttività non è stata idoneamente giustificata dal lavoratore.
La Corte di Cassazione configura il licenziamento per scarso rendimento un’ipotesi di recesso del datore per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, come specie della risoluzione per inadempimento, ai sensi degli art 1453 e seguenti del codice civile.
Resta fermo che occorre individuare dei parametri oggettivi per accertare l’esatta esecuzione delle mansioni proprie affidate in un apprezzabile lasso temporale.
La sentenza è importante anche ai fini della corretta qualificazione della tempestività della contestazione; infatti a base della legittimità di un procedimento disciplinare c’è il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito.
Nel caso di specie l’arco di tempo di 5 mesi tra l’addebito e la sua contestazione è stato ritenuto ammissibile considerando la necessità, per l’imprenditore, di servirsi di un congruo periodo di osservazione per valutare la condotta del lavoratore e ravvisare in essa una violazione del dovere di diligenza e collaborazione.
Carmelo Polizzi
Fonte: G. Cassone
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